Le figliuole di Gerusalemme
(Cantico dei cantici 1:5-6)
In ogni congregazione di Cristiani vi è varietà di gruppi. Alcuni sono “zizzanie”; altri sono i “figliuoli della madre”; altri “le figliuole di Gerusalemme”; e un piccolo numero – oh! quanto piccolo – rassomiglia alla Sullamita. Le figliuole di Gerusalemme non sono mai persecutrici, ma anime gentili; non forti, né illuminate per decidersi per la causa del Signore. Lamentano, con mesti accenni, gli abusi di qualche falso e arrogante pastore, ma tuttavia soffrono in silenzio. Riconoscono elementi più degni – la Sullamita – e osservano che non sono giustamente apprezzati. Di tanto in tanto, le figliuole di Gerusalemme mostrano sdegno contro la perversità che notano, ma non abbastanza apertamente da spaventare i perversi; danno qualche incoraggiamento alla Sullamita, però timidamente, e temono di far notare agli altri che esse sono pronte ad un determinato proponimento per il Signore e per la verità. Non sono settarie, né dominate da spirito chiesastico; ma neppure decise ad affrontare opposizione o pronte a perdere tutto per tutto. Oscillano come un pendolo, una volta dicendo che le cose dovrebbero essere aggiustate, un’altra volta raccomandando che l’unità della Chiesa non venga disturbata. Esse sono care anime, però per un lungo tempo, scambiano la visibile congregazione per il vero Corpo di Cristo. La Sullamita, per celeste intuizione, ha scoperto il bene in quelle care anime, ed ora che è diventata ardita nell’essere tutta per la causa del Signore, confida che le figliuole di Gerusalemme, esse pure, un qualche giorno si faranno coraggio e si decideranno solo per Cristo. Perciò, nella sua devozione e promesse al Signore, questa martire, promette anche a nome delle figliuole di Gerusalemme. La Sullamita è passata attraverso prove di fuoco, solo Cristo ha potuto dire che Egli è senza peccato: “Il principe di questo mondo viene e non trova nulla in me”. La Sullamita non poteva vantarsi di essere perfetta, e che non portava cicatrici degli sbagli passati. Essa sa che pure nelle nobili battaglie, anche quelli che sono nel vero, mancano in qualche cosa. Perciò esorta le figliuole di Gerusalemme a non intopparsi se qualche cosa potranno scoprire in lei.
La Sullamita confessa che secondo le apparenze, essa potrebbe dar ragione a scandalo, ma se le figliuole di Gerusalemme guardano più a fondo nella realtà, non rimarranno scandalizzate e, qualche giorno, seguiranno le sue pedate. Piena di confidanza, proveniente dalla intima comunione col Signore, essa parla alle care anime: “ Oh figliuole di Gerusalemme, io sono bruna, ma bella: come le tende di Chedar, come le cortine di Salomone. Non guardate che io sono bruna, perciocché il sole mi ha scottata coi suoi raggi”. L’ospitalità degli Arabi è ben nota. I feroci Beduini, i terrori del deserto, senza prendere informazioni né esitazioni, abbracciano lo straniero che prende ardire di confidare nell’onore loro ed entrare nelle loro tende. Praticamente la Sullamita volle significare questo: “ Sì, sono bruna, però, così come sono, sono una tenda di rifugio a quelli che si confidano in me; e senza alcun pregio in me, io so di essere una cortina per adornare altri, anche nel palazzo del magnifico Salomone. Chiamatemi come volete, ma non dimenticate che Dio mi ha fatta “tende” e “cortine” – riparo e adornamento -. Vi è una bruttezza ch’è solo apparente, ed una bellezza che non si nota a prima vista. “Bruna” è una parola dura, e forse si riferisce a molto più di quel che noi immaginiamo. La vita dei più santi uomini non è immune da qualche rapporto che macchia la loro reputazione. Forse essi stessi hanno dato occasione, almeno in parte, a questi rapporti; eppure, Iddio solo conosce le circostanze e le interne tragedie. Strani eventi sorgono inaspettati nelle più nobili imprese. I nemici approfittano di ciò ch’è male, e lo rapportano per annientare il bene; ma le figliuole di Gerusalemme sono di spirito tollerante. Per un tempo, esse, forse rimangono perplesse, ma non si rallegrano del male, e sono pronte, quando odono le spiegazioni, a vedere la chiarezza delle cose.
La Sullamita si sente, in un certo qual modo, debitrice di compassione ed ammaestramento verso esse, ed anticipa l’effetto della loro propria impressione o di possibili accuse dei nemici. “Sì, è verità” essa dice, “sono bruna. Innanzi agli occhi miei sono bruna, ma so che il Signore mi ama. Vi sono molte cose le quali non sapete. Io sono bella. Guardate alle tende di Chedar, mirate le cortine del gran Re Salomone, sebbene di vari colori, nondimeno sono utili”. Nell’intimo dello spirito, la Sullamita avrà pensato di sé stessa che, come tenda, potrà accogliere ed albergare gli stanchi pellegrini del deserto, e potrà essere una cortina pure nel palazzo del gran Re. Essa addita ad una bellezza intima che non è facilmente scorta. Vi sono varie qualità di bellezze. La Sullamita continua a parlare alle figliuole di Gerusalemme le quali, in un senso, aveva adottate come sue figliuole spirituali; e continua: “Non guardate perché sono bruna, perciocché il sole mi ha toccata”. Vi è un tempo che i Cristiani debbono dire agli altri: “Guardate me, imitate me”. Ma ciò si può raccomandare solamente in rare occasioni, quando siamo totalmente, non solo nella volontà di Dio in generale, ma ancora nella Sua volontà in ogni particolare. Tuttavia, non è pericoloso esortare gli altri ad imitare noi nell’essere fermi, avendo un solo fine, servendo Cristo. Lasciate pure che gli altri imitino noi in ciò, ma che non esaminino, minutamente la complessità della vita, poiché siamo ancora esseri umani, sottoposti a medesime passioni come gli altri. La Sullamita esorta le figliuole di Gerusalemme, a non badare alla brunezza (figuratevi, essa stessa si chiama bruna). Il sole l’aveva toccata.
Per strana che sembri questa scusa a quelli che poco sanno dei conflitti spirituali, pur nondimeno è un valido argomento a quelli che hanno cominciato a scoprire ciò che le facce mostrano e continuano a mostrare sotto i raggi del Sole di Giustizia. Fu quando il sole si levò che Giacobbe, appena stato fatto Israele, cominciò a zoppicare dalla coscia. Come qualche materia, toccando un’altra, crea qualche risultato chimico, così al contatto del Signore i cristiani cominciano a mostrare brunezza. Era del tutto “dentro” prima, ma ora è scoperto. Ricordiamo il Salmo della conoscenza di Dio (Salmo 139), nel quale, fra le altre cose, leggiamo: “La fabbrica delle mie ossa non ti fu celata, quand’io fui fatto in occulto e lavorato nella basse parti della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo; e tutte queste cose erano scritte nel tuo libro, nel tempo che ancora si formavano quando niuna di esse era”. Significa che Iddio conosceva le nostre più segrete iniquità ed imperfezioni, prima che noi immaginassimo finanche l’esistenza di esse. Il Sole le scoprì a noi stessi. Quando la donna Samaritana accettò le parole di Gesù, che Lui è il Cristo, allora, e non prima, vide il “tutto” di sé stessa. Permetteteci ripetere che essa non si era arresa quando Gesù le parlò riguardo ai mariti, ma che fu come annientata quando sentì pronunziare il grande IO SONO. La scoperta di sé stessa non scoraggiò la Sullamita; ma piuttosto sentì una gran confidanza nel Signore: “Sono bruna, lo vedo; altri forse scoprono o vedono in me cose sgradevoli. Non lo nego. Tutta questa esposizione della parte oscura della mia vita interna è conseguenza di una grande Grazia. “Il sole m’ha guardata (un intenso guardare che chiama le cose alla superficie), il sole mi ha toccata”.
G.P.